Omelia di P. Priamo nella celebrazione Eucaristica di apertura del XXI Capitolo Generale delle Suore Francescane Angeline


Anzitutto il mio saluto caro, fraterno, sincero, il mio ringraziamento alla Madre Lamberta, alle Sorelle del governo generale, alle altre sorelle di questa casa e quelle che sono convenute ormai da un bel po’ di parti di questo nostro mondo per un momento molto importante qual è per la vita dell’Istituto, il Capitolo Generale.

Il Signore, come sempre, ci ha provveduto una parola adeguata, una parola che ci invita a riflettere su questo grande momento per la vita dell’istituto che da questa celebrazione inizia.

Sono essenzialmente racconti di vocazioni; vocazioni diverse, per i tempi, le modalità ma comunque accomunate tutte dal fatto che l’iniziativa parte dall’amore gratuito di Dio, che sceglie e invita chi vuole, persone delle quali lui conosce il cuore e che per gli altri, per gli uomini, forse, non avrebbero troppo valore o non verrebbero giudicati con delle capacità tali da poter rispondere ad una chiamata di questo genere.

Umanamente parlando questo può essere vero, ma Dio si diverte a scegliere persone fragili, deboli, a volte anche inadeguate appunto perché, ce lo ricorda l’apostolo S. Paolo, appaia che tutto è grazia sua, e che chi dirige la storia, dirige gli eventi verso un fine, un compimento di bene, è solo Lui.

Allora comprendiamo bene che la chiamata non è a posti di onore, ma è piuttosto al servizio. Mettersi a disposizione di Dio e, mettendosi a disposizione di Dio, in ultima analisi, per non dire in prima battuta, mettersi a servizio dei fratelli.

Un servizio esigente che richiederà sempre la rinunzia a se stessi, alle proprie vedute, ai propri desideri e alle proprie aspettative.

Dobbiamo preventivamente rinunciare, quando ci mettiamo a servizio di Dio e dei fratelli, anche ad aspettarci delle gratificazioni, anche ad aspettarci un semplice e doveroso, direi talvolta, riconoscimento del nostro operato.

Significativa la chiamata del profeta Eliseo. Viene strappato da dietro le bestie che conduceva nell’arare i campi, con un gesto tipico dell’epoca in cui Dio lo scelse. Un altro profeta, Elia, getta su di lui il mantello per dire, ora tu sarai il continuatore della mia opera. È un gesto molto eloquente, questo: questo mantello che passa da Elia ad Eliseo e poi, molto probabilmente Eliseo, anche se non ci viene raccontato, avrà fatto lo stesso con il suo successore, significa che, in definitiva, anche se cambiano le persone, il servizio che si deve rendere è lo stesso e la missione a cui siamo chiamati è la medesima. Quindi, questo dimostra ancora una volta e meglio, che noi siamo dei semplici collaboratori, che la nostra risposta non deciderà definitivamente del progetto di Dio, anche se, la generosità di essa lo renderà, probabilmente, più efficace e permetterà che, in tempi più brevi, questo messaggio, questa rivelazione, questo progetto di Dio raggiunga tutti quanti.

E mettersi a servizio di Dio e dei fratelli comporta il rompere, il tagliare, il recidere ogni legame con il passato, persino con gli affetti più cari, occorre buttarsi, è il caso di dirlo, in questa avventura senza stare a calcolare i rischi e neppure il tornaconto.

Il gesto che Eliseo compie è emblematico. Uccide i buoi con cui stava arando e con il legno dell’aratro accende il falò per cuocere. Significa che ormai, la sua vita passata è un capitolo chiuso. Si apre davanti a lui una prospettiva che sovente è ignota, un cammino che si va costruendo passo dopo passo; potremmo dire quasi alla cieca, umanamente parlando, ma illuminati dalla Parola, dalla grazia, dallo Spirito di Dio.

La seconda lettura, mentre la riascoltavo, mi è subito venuto in mente l’uso che ne fece Papa Benedetto XVI in una delle tante circostanze dolorose della Chiesa che gli è capitato di dover affrontare durante il suo travagliato pontificato.

Quando si cominciò a parlare di corvi, di veleno, di fuga di notizie, di rivalità, di antagonismi ecc…,tutte cose che abbiamo letto abbondantemente amplificate nella stampa e a volte anche abbastanza travisate, bene, Benedetto usò propriamente questo brano; dice, ma perché vi dilaniate e vi sbranate a vicenda, perché queste lotte tra di voi? Non solo sono inammissibili da un punto di vista umano ma sono addirittura peccato perché intralciano l’opera di Dio.

Dio cerca collaboratori, cerca servitori e trova ostacoli, trova persone che gli remano contro. Questo a significare che, anche il servizio di Dio e il servizio del fratelli, quando non è considerato e conservato nella sua giusta prospettiva e nella sua giusta dimensione, può diventare occasione dissoluta, può diventare occasione di ambizione, di smodate aspettative, di sgambetti, di tranelli, di complotti: siamo lontani, ovviamente mille miglia, da quello che è l’orizzonte di Dio.

E la pagina evangelica di oggi sembra in qualche modo radicalizzare le esigenze della sequela di Cristo. Elia concede che Eliseo vada ad accomiatarsi dai suoi familiari, Gesù, addirittura non permette ad uno dei chiamati che vada a compiere un’opera di misericordia come quella di seppellire il proprio padre. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti, tu sei chiamato ad altro, tu vieni e seguimi: non indugiare!

C’è un’urgenza nella chiamata e c’è un’urgenza nella risposta perché la messe è sempre troppa a confronto con gli operai che sono disposti ad andare a lavorare nel campo del Signore. E poi c’è chi vuole seguirlo spontaneamente e Gesù… non accetta! E c’è invece chi viene chiamato nonostante qualche resistenza e questo è il mistero della vocazione.

Normalmente, tutti quanti noi, quando veniamo chiamati ad una precisa missione, ad una precisa scelta di vita (sia alla vita consacrata, sacerdotale, matrimoniale… quella che vogliamo, perché tutto è vocazione, tutto trae origine da Dio ed è modo di entrare in questo progetto di Dio, è modo di far cresce,far espandere il Regno di Dio) sentiamo trepidazione; e quanto più è radicale la chiamata, tanto più temiamo e tanto più sperimentiamo il nostro limite, la nostra fragilità. E ben venga questo sentimento.

Guai se rispondessimo alle chiamate di Dio con leggerezza, guai se confidassimo oltremodo in quelle che sono le nostre capacità, le nostre competenze, i nostri talenti… Sarebbe in qualche modo, estromettere già in partenza Dio, già in qualche modo inculcare la sua azione e soprattutto, mi si passi l’espressione, sarebbe come imbottigliare, incasellare lo Spirito che invece è libero, è vivificante e chiama alla libertà, come ci ha ricordato l’apostolo.

Libertà in primo luogo da noi stessi perché, la schiavitù maggiore è quella che noi stessi ci infliggiamo. Non c’è niente di più difficile che lasciarci liberare da Cristo. Tanto è vero che S. Paolo, in una sua lettera, supplicherà i fedeli: “vi scongiuro, lasciatevi riconciliare da Cristo”, lasciatevi raggiungere dalla grazia di Dio, lasciatevi trasformare da Cristo. Solo così potremmo essere creature nuove. Guai a noi se pensassimo di poter fare da noi stessi, se alimentassimo questa autosufficienza o anche questo narcisismo spirituale; ovviamente, dobbiamo metterci tutto quanto noi stessi.

S. Ignazio, o chi per lui, ha sintetizzato molto bene qual è la dinamica della relazione che si viene a creare tra Dio e l’uomo e qual è il tipo di collaborazione che viene richiesta. Dice S. Ignazio di Loyola: “fate tutto come se ogni cosa dipendesse da voi nella consapevolezza e nella certezza che tutto dipende da Dio”.

È molto difficile mantenere in equilibrio questi due piatti della medesima bilancia perché c’è la nostra libertà, la nostra generosità chiamata a rispondere e a darsi ma è sempre iniziativa previa e continua, continuativa di Dio che ci permette di rispondere sì e mantenerci fedeli a questo sì, a questa chiamata. Allora, noi diminuiamo, Cristo cresce in noi, secondo la bella espressione di Giovanni il Battista e secondo anche l’insegnamento dell’apostolo Paolo. Dobbiamo crescere fintanto che non raggiungeremo la piena maturità e la perfetta statura di Cristo. È come se Cristo in noi ci portasse con sé in questo sviluppo, in questa crescita, in questo dinamismo verso l’alto fintanto che, anche noi, siamo alter Christi, siamo trasparenza di Cristo, siamo conformati a Cristo. Conformati a Cristo nella croce per essere conformati a lui nella gloria delle risurrezione.

Giunti a questo XXI Capitolo Generale è chiaro che tutto questo messaggio assume una rilevanza particolare; s’incarna in questo momento che è un momento di grazia, Kairos, è il tempo opportuno che Dio per voi, per l’istituto delle Francescane Angeline, sta manifestando e costruendo con voi e per voi.

Forse delle persone si avvicenderanno, altre ne verranno, ma la strada da percorrere è la stessa, la méta verso cui l’istituto si incammina nella Chiesa è la medesima. E allora, nessuno si perde per strada, né chi ha servito, né chi viene per servire ma, tutti quanti, in un’interrotta catena, in una stretta e in un abbraccio, ci portiamo a vicenda guardando fissi verso il Signore che è l’autore e il perfezionatore di ogni opera buona.

La nostra vita consacrata, la nostra vita nella Chiesa deve essere vissuta esattamente in questo senso, cioè, come opera buona, come opera di Dio che è affidata alle nostre esistenze, alle nostre mani, alla nostra operosità, è affidata alla nostra intelligenza, è affidata alla nostra sapienza.

I tempi che viviamo, forse perché li viviamo in prima persona, ci appaiono più difficili di quelli che magari abbiamo sentito o abbiamo appreso dai libri di storia;ma io credo che, sotto il cielo e sulla terra, le difficoltà siano sempre le stesse. A volte possono assumere manifestazioni, una virulenza tutta particolare o manifestarsi con volti inediti…però, è un combattimento quello che dobbiamo affrontare, come ci ricorda il profeta Giobbe, e lo dobbiamo combattere armati degli strumenti della fede.

Potremmo mettere in atto delle strategie, dobbiamo interrogarci, dobbiamo fare analisi, progetti, dobbiamo soprattutto preoccuparci di chiederci e di interrogarci su cosa Dio voglia da noi e su come possiamo rispondere affermativamente a questo suo invito.

Sarà Dio stesso che, guardando alla nostra disponibilità, guardando alla nostra umiltà, guardando alla nostra povertà, compirà grandi cose come le ha compiute nell’ancella per eccellenza che è la sua Madre che è la nostra Signora, la Vergine Maria, modello sublime per ciascuno di noi che ci mettiamo alla sequela del suo Figlio.

Questo il mio augurio e la mia preghiera per tutte quante voi che conosco da vicino e che stimo e che apprezzo e che, attraverso loro mi fanno giungere la vitalità, la freschezza, la bellezza del vostro impegno e la serietà del vostro istituto, una delle recenti nuove fioriture sul tronco otto volte secolare del francescanesimo ma anche con un suo carisma proprio, con una sua specificità è capace ancora di diffondere la bellezza ed il profumo del Vangelo.

Sia lodato Gesù Cristo.

 

Roma, 30 giugno 2013


(Trascritta liberamente senza revisione dell’autore)